A Casalmaggiore, all’International Music Festival che lo ha visto arrivare poco più che bambino, è una sorta di semidio. Oggi tuttavia il nome di Pavel Kolesnikov è ben più di una gloria circoscritta: piuttosto, una delle personalità più intriganti e acute del panorama internazionale, capace di crearsi una breccia di unicità nel saturo mercato di eroi bionici. Dopo il doppio cd uscito nel 2013 a seguito della clamorosa vittoria all’Honens di Calgary, ecco fresco di stampa un nuovo ascolto firmato Hyperion. A due anni dall’affascinante incisione delle Stagioni di Tchaikovsky, il pianista siberiano continua a dichiarare la sua naturale predilezione per il frammento: altre miniature sorgono ora dal suo finissimo lavoro di cesello, questa volta pescate dallo Chopin più sfuggente. Avvolte da una veste editoriale che ben ne sposa l’intento, dal cappello magico di questo artista non omologato escono ora, fragranti e mercuriali come non mai, 24 Mazurke inanellate come perle a tracciare un sentiero destinato a lasciare un solco decisivo nell’approccio a queste pagine. Una narrazione che scava impietosa, con la libertà di chi non esegue ma ricrea, quella che Kolesnikov orchestra con una padronanza di fraseggi e di piani sonori a dir poco strabiliante. Mazurke come mondi, microcosmi traboccanti di bellezza e dolore, di rêverie e feroce umorismo, combinati in una logica stringente ma così arcana che talvolta finisce per spiazzare. Come la vita. Le dimensioni del lontano, filtrato spirito popolare, con il suo affondo mordace, e della ricerca di atmosfere rarefatte, qui sembrano danzare con grazia irresistibile e a tratti disperata. Nel prisma di queste pagine, nulla è come sembra. Enigmatiche, ingannatrici, le Mazurke tradiscono una vena che non potrebbe suonare più autobiografica nel dire l’instabile, perennemente precario gioco delle parti tra l’inventare il mondo e il subirne la sorte. Pavel Kolesnikov, con il suo pianismo insieme debitore dei grandi classici e spregiudicatamente moderno nel disegnare nuove vie, assicura ad ogni Mazurka un profilo, una sua propria irripetibile temperatura emotiva, e ne combina la sequenza con gusto apparentemente arbitrario, ossequioso non tanto alla sequenza cronologica quanto piuttosto a restituirne il damasco di screziature segrete. E come sempre, l’onda lunga di questo ascolto, come nello stile di Kolesnikov, finisce per catturare nella sua rete di interrogativi, anche ad ore, a giorni di distanza. Più che un’incisione, l’imperiosa restituzione di un esercizio di libertà creativa forgiata nell’infallibile fucina di una lettura millimetrica. Tutto suona vero: il velluto delle linee, il tragico sentore della fine, l’aspra nostalgia, l’impulso a seguire, assecondandola, la danza dei pensieri prima ancora di quella, ben più pericolosa, dei piedi. Profumiere geloso del suo segreto, Kolesnikov è custode fedele di questi fiori registrati in un’unica sessione, con il batticuore di un approccio a cui lo studio non ha minacciato la vaporosa freschezza.